" Proti " ( racconto fantastico )
Ho incontrato un animale bellissimo: ho
capito che era una donna, ma era talmente bella che mi è sembrato
fosse la prima che vedevo da quanto sono venuto al mondo.
E' comparsa improvvisamente tra i rami fioriti di
un pruno, coi capelli biondi ormai lunghi fino ai fianchi, un'espressione
profonda e stupita negli occhi blu violetto, tanto da darmi l'impressione
di un'innocenza assoluta, quasi infantile.
Si è distesa sull'erba, all'ombra, e non lontano
da dove io stesso me ne sto immobile, eppure non mi ha visto, anche se
sono in pieno sole. Posso così osservarla con calma, non visto;
screziata dalle chiazze di luce che filtrano oltre le fronde fitte di alcuni
alberi già tutti coperti di foglie, altri sono ancora in fiore,
altri ancora già rosseggiano di frutti.
E' primavera avanzata, ma il sole è ancora
nell'Ariete, che era con lui quando questa stagione è iniziata,
l'aria è tiepida e il sole mi scalda, e mi accende, infonde nel
sangue un calore che mi induce al movimento, a uscire finalmente da questo
lungo letargo.
Non mi curo particolarmente del risultato e delle
conseguenze delle mie azioni,: so per esperienza che esse sono sempre consone
ai miei desideri, alle mie intenzioni, e che ottengo sempre quello che
voglio perché il mio scopo è uno solo.
Desidero quella donna, voglio sia mia, e non so se
questo risvegliarsi dei miei desideri dipenda dal troppo tempo che ho trascorso
nell'inazione, o da quest'aria tiepida di primavera, o da quell'essere
meraviglioso, che mi sembra di vedere per la prima volta.
Continuo ad osservarla, ormai schiavo del desiderio:
il suo corpo è perfetto e lo percorro in ogni dettaglio con lo sguardo
intento e fisso, che alcuni temono. I suoi capelli hanno il colore del
miele, che ho visto colare dolcissimo da un favo ricolmo scaldato dal sole;
la sua pelle è bianca come il latte, di cui spesso anch'io volentieri
mi nutro.
Gli occhi hanno il colore delle viole, la bocca è
rossa come i frutti dei rami che ci circondano, e schiusa in un lieve e
innocente sorriso, come una promessa formulata per me.
Ecco: è proprio quella sua aria innocente
che mi inquieta, che accentua il mio desiderio, che mi rende ormai determinato
e risoluto.
Il suo seno di ragazza è dolce e morbido anche
a vedersi; è quasi velato dai capelli sciolti; che lo coprono in
parte come un velo strano e nascondono anche il ventre l' ombelico; il
loro colore biondo si confonde con quello appena più scuro del grembo,
che sembra un'ombra di quello stesso colore, come scrito da una foglia
frapposta alla luce del sole.
Le sue gambe sono lunghe e agili, come quelle di
chi corre. Il suo respiro è lento e sembra sorridere a se stessa,
di serenità e di quiete.
Non posso fare a meno di avvicinarmi a lei, e quando
mi vede non s'impaurisce, come mi sarei aspettato, anzi mi guarda con quello
stesso sguardo di innocente stupore che aveva quando credeva di essere
sola.
Le parlo con calma, persuasivo come so di essere
nel profondo nel mio essere, le chiedo il suo nome, e mi sorride ancora,
come se non avesse ancora un nome, come se dovessi essere io, col mio interesse
per lei, con quello che la farò divenire, a dovergliene dare uno.
Io voglio ormai, con tutte le mie forze, che sia
mia e, come sempre, provo la sensazione di avere bisogno di un'altra preda.
Non mi interessa null'altro che la vittoria, in questa mia eterna lotta
che sempre mi fa disperare di vincere, di prevalere.
Le parlo di me, e lei mi ascolta intenta, affascinata.
Lodo la sua bellezza, ma lei sembra non comprendere quello che dico, come
se non si rendesse conto di avere un corpo, di essere nuda, di essere bella
al di là di ogni immaginazione, quasi fosse l'unica donna dell'universo,
un cosmo nel cosmo.
Questa sua innocenza mi spaventa e mi affascina allo
stesso tempo, perché sarà più difficile riuscire a
corromperla, a farla mia, ad affascinarla come io solo so fare e pretendo
di fare con tutto e con tutti, ma al tempo stesso renderà più
piena la mia vittoria, più intenso il mio piacere.
L'unico problema consiste nel fatto che lei sembra
non capire, qualsiasi accenno io faccia a quello che ho in mente, al renderla
mia, alla possibilità che lei si conceda a me; comprendo allora
che le mie parole da sole non sono sufficienti, che devo darle qualcosa
che le faccia comprendere cosa voglio da lei, che le permetta di conoscere
quanto io la desideri e quanto lei stessa sia bella e desiderabile.
Devo decidermi ad agire anche perché qui vicino
a lei c'è quest'ombra che, alla lunga, comincia a infastidirmi e
a farmi star male, anche se mi è necessaria per apparire diverso
da quello che realmente sono, per nascondere il mio vero aspetto e forse
anche la mia età.
Chiunque direbbe che sono troppo vecchio per lei,
per desiderare e insidiare una donna così giovane. Con la mia vecchia
esperienza di seduttore però, so bene come fare: le offro un simbolo
antico, un frutto che nella sua forma rappresenta il mondo e la donna allo
stesso tempo, che è rosso come la sua bocca, che le farà
capire senza alcun dubbio cosa ci sia di desiderabile in lei. Dopo averne
mangiato, come in una fiaba, si ridesterà e avrà coscienza
di tutto, di sé, delle mie parole di seduzione, dei suoi capelli,
del suo grembo biondo velato d'ombra come un mistero da svelare.
Ed ecco che avvicina le labbra rosse al rosso della
buccia, e morde il bianco coi denti bianchi: il suo sguardo muta d'improvviso,
come avevo previsto, come avviene proprio nelle favole di cui so essere
maestro e regista; una vena d'ironia trasforma il suo sorriso prima casto
e con un gesto di falso pudore cerca di coprirsi con una mano il seno e
con l'altra il grembo, come i nudi della pittura fiamminga.
Comprendo allora di aver vinto, l'ho finalmente corrotta,
il mio fascino è ancora efficace anche dopo il lungo e freddo letargo.
Mi avvicino a lei, ma si ritrae, mi guarda come se prima non mi avesse
visto né sentito parlare, come se non fossi stato io stesso a sedurla.
Sembra quasi che io le incuta paura, o ribrezzo...
Eppure ero certo del mio successo, nessuno prima
era riuscito a resistermi, all'infuori del mio grande nemico, e di alcuni
tra i suoi seguaci, i più fedeli. Ma lei sembra poi vincere il timore
che le ispiro, mi si avvicina e mi bacia, bacia la mia pelle lucida e umida,
e io mi perdo nel piacere del possesso, e sogno che quell'istante sarà
eterno, e nessuno potrà impedirmi di ripeterlo, all'infinito, in
ogni momento della mia vita, dei secoli che verranno, per l'eternità.
Il piacere e la gioia della vittoria mi rapiscono
e mi estraniano da quello che sta avvenendo: d'improvviso mi accorgo che
si sta allontanando da me, ma io non riesco a seguire il passo di quelle
gambe snelle, la velocità di quel corpo tanto più bello e
così diverso dal mio.
Riesco a intravedere, tra i rami, che si avvicina
ad un altro essere, che giace anch'egli disteso all'ombra, vicino ad altri
animali, leoni ed agnelli, tutti egualmente sopiti in un'atmosfera rarefatta
e sognante; si distende accanto a lui, gli offre di condividere lo stesso
frutto che io - proprio io - le avevo offerto, e che mi ha dato la possibilità
di farla mia in un istante troppo breve. L'uomo accetta l'offerta, e il
suo sguardo, - come era avvenuto per lei poco prima - da innocente e ingenuo
si fa astuto ed intenso di desiderio, sembra che lui si stenda sopra di
lei sussultando come un serpente che si contorce, e io inizio a odiare
lei, a detestare quell'uomo che la sta amando con atti così diversi
da quelli che la mia deformità mi aveva imposto, quando le avevo
fatto conoscere l'amore per la prima volta.
Mi contorco e sussulto anch'io tra le mie spire e
fuggo strisciando tra l'erba e i fiori, e sibilo al vento forte che si
è levato d'improvviso e minaccia un temporale da nuvole scure, tutto
il mio odio per la loro stirpe, per quel loro amore che si ripeterà
all'infinito, voluto da me.
Ottavio, febbraio 1997
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