PRABDA (L'agente segreto)


Dalla finestra appena aperta ho visto la brina sul campo di fronte appena arato, l'orizzonte giallo a sudest, ho sentito un gallo lontano e un suono ormai usuale di campane. Caterina e' a scuola fin dalla prima ora, i ragazzi sono via, all'Universita'. Io invece devo andare a scuola piu' tardi, e mi sto vestendo lentamente. Canto a voce bassa. "Vi'ha gi'lla na birik Katiu'scia, na' vi so'hi...".
Il ricordo e il problema che esso suscita giungono da lontano e inaspettatamente, anche se il primo non cessa mai di essere presente e se il secondo cova a lungo prima di esplodere.
Le certezze sono indebolite dal passare del tempo e dal mutare delle cose, per quanto forte possa essere stata la fede che ha radicate. Il riso del gabbiano che ha risalito il fiume per raggiungere il campo appena arato e' lo stesso che risuona sul lento arco del grande fiume, a Cernij.
Orazio Dalto e' professore di Italiano e Storia all'Istituto tecnico "25 giugno" di Oriago, in provincia di Venezia, e' sposato con Caterina dal 72, ha due figli che hanno piu' di vent'anni, e non ha mai "fatto" politica. Orazio abitava a Trieste, lì ha fatto il Liceo, poi, contro il parere dei parenti (i genitori erano morti entrambi nell'incendio del Politeama Rossetti, nel '58), ha voluto fare subito il servizio militare e iscriversi contemporaneamente all'Universita' di Padova, a Lettere. "...ma perche' proprio Lettere, che non apre nessuna strada, quando tutti in famiglia fanno medicina, che e' stata appena aperta a Trieste, o Chimica, o Farmacia. Perche' non Legge come tuo padre e tuo bisnonno...".
Ma l'avventura, che da' sale alla vita, e' la scuola allievi ufficiali di fanteria ad Ascoli, la bomba societa' romana costruzioni metalliche rossa e alluminio che scoppia nell'addestramento notturno gialla e rossa. Poi sergente in prova a Montorio Veronese, poi Firenze, e un mese duro di fatica per l'alluvione del 1966. La licenza in attesa di nomina e poi il trasferimento.
Durante la licenza la broncopolmonite. Il sottotenente Dalto e' morto nella sua stanza dell'ospedale militare, ma questo fatto viene nascosto. Risulta invece ufficialmente che, guarito, abbia lasciato la stanza e dopo tre giorni si sia presentato al nuovo reparto, un prestigioso reggimento di confine a Cividale del Friuli.
Il capitano medico Lo Gaudio ha fatto sparire dalla stanza d'isolamento il cadavere del sottotenente Dalto e Klinger, che sembra un ragazzo della stessa eta' di Dalto si e' presentato all'Ufficiale di guardia in ridicola sciarpa azzurra sabauda, con la lettera di dimissioni. Il capitano medico Lo Gaudio riceve regolarmente 300 dollari al mese per le spese ma ha scelto di vivere così non per i soldi che gli giungono da lontano, ma perche' la sua fede politica, abilmente nascosta, e' l'unica cosa che possa dar profumo alla vita, perche' cosi' ha più potere dei suoi superiori.
Chi si presenta realmente a Cividale e' Ighnati Bogdanovich, capitano del 112 reggimento motorizzato della Guardia. Suo padre, bielorusso di Pinsk, e' stato uno dei primi dirigenti comunisti del bacino di Volgograd, Stalingrado fino a pochi anni prima, e lì ha combattuto i nazisti. Nel 45 aveva cominciato a costruirsi lo chalet a Cernj, dove era stata la sede del suo comando durante la Battaglia.
La somiglianza con Dalto e' notevole, e Ighnati ha studiato tutto di lui alla scuola staccata di Ciarcof. Nessun altro giunge a Cividale da Montorio, e perfino l'astuto capitano Melo Patacca si lascia imbrogliare, con tutto il suo "sesto senso", perfino il colonnello Antonio Arimanni, che comandera' il reggimento per un solo anno e proviene dal SID, che e' stato in Bulgaria, in Pakistan e in Libia, non si spiega la strana simpatia che prova per quel giovane, così debole di salute e così forte nell'addestramento, così pronto a capire, che discute di argomenti che neppure gli ufficiali d'accademia conoscono. Per Ighnati sarebbe rischioso apparire troppo diverso da quello che e' e sforzarsi di fare il lavativo come tutti gli altri ufficiali di complemento, rischierebbe prima o dopo di tradirsi.
Ighnati non dovra' fare la carriera militare, ne' procurarsi informazioni o produrre disinformazione. La Patria, che e' costituita allo stesso tempo dall'URSS e dal Socialismo, gli ha chiesto di rinunciare alla gloria e all'azione, di non fare, apertamente o di nascosto, nulla di diverso di quello che avrebbe fatto Dalto, di aspettare, di sapere solo che vicino a lui ci sara', dopo qualche anno, un sostegno, un unico compatriota di cui potra' conoscere la vera identita', di conservare nel tempo l'idea socialista, di non lasciarsi prendere dall'abitudine a una vita che dovra' essere la sua in tutto fuorche' in un unico tragico particolare: sara' doppia.
Dentro di lui dovranno rimanere soltanto, come in un contenitore impenetrabile e inossidabile il giuramento e l'ideale che l'ha ispirato. Tutto cio' non sembra difficile al capitano Bogdanovich ne' ai "tecnici" che l'hanno scelto, addestrato e valutato.
Le proiezioni su quelle che avrebbero potuto essere le scelte di Orazio Dalto, elaborate con una copia di un sistema 1030 ottenuta con l'aiuto di un compagno italiano e della sua ditta, coincidono con quello che Ighnati e' in grado di essere nei primi tre anni di impegno e di divenire poi nel tempo.
In un primo tempo lascia credere di voler essere trattenuto in servizio, poi all'ultimo momento decide di congedarsi come gli altri.
E' durato anche troppo, e' stato anche troppo difficile vedere appesi nell'anticamera del circolo i berretti di ufficiali tedeschi e americani ospiti del colonnello che due anni prima, a Misrath, ha fatto torturare Sciascia, il compagno preferito di Ighnati alla scuola di Cia'rcof.
Ma forse hanno davvero un sesto senso Patacca e Arimanni: stanno cominciando forse a capire qualcosa. Perche' Dalto, invece di scrivere sul telegramma "Fiero assegnazione codesto glorioso reggimento...", e cosi' via, ha scritto: "Saro' presto tra voi", come un imbecille, ha dovuto pagare da bere, ha fatto pensare a un altro dei soliti sottotenenti incapaci, e invece sa comandare e ottiene quello che vuole dai fanti ? Perche' vuole volare sui Piper scassati della ricognizione appena puo', perche' non si e' mai fatto punire, e' sempre in orario, ogni tanto ha le scarpe infangate, di solito e' lucido e brillante? Perche' crede in quello che fa, perche' sbalza come un capriolo se non ha mai fatto sport ?
Ma la fine del servizio militare elimina il problema prima che i sospetti possano maturare.
Dopo il congedo va ad abitare a Giavera del Montello, fa il supplente alle scuole medie, va all'Universita' solo a fare esami, si mette con una ragazza madre, va in Grecia un anno dopo il Golpe di Papado'poulos, cerca lavoro all'Alitalia, (parla bene l'Inglese), si sposa, si laurea, mette al mondo figli, non fa politica ma frequenta comunisti, attivisti in odore di terrorismo, fascisti di Ordine Nuovo, si laurea in Greco moderno, vive da insegnante di scuola media superiore, si trova immerso in una nevrosi fobica, va da uno psichiatra, ha come amico un dentista liberale che legge il Giornale di Montanelli e che e' sposato con una polacca, tiene conferenze di Letteratura alla Dante Alighieri di Venezia, si scopre la passione per i computer, vive prima a Mestre poi in una casa isolata in campagna, si interessa di politica internazionale, scrive articoli di armi, di politica estera, soffre, mangia, ride, insegna, scherza, gioca.
Il problema c'e', ma e' sotterraneo. Aveva interpretato le fobie come il disgusto per essere costretto a vivere come complice in un mondo di ingiustizia, un'ingiustizia cosi' profonda da trovare persino la propria autogiustificazione ideologica in un indefinito concetto di liberta' individuale ed economica.
Questa poteva sembrare una soluzione logica per quel male che egli non avrebbe mai creduto potesse colpirlo, ma non era cosi': era stanchezza, la disperata e frustrata volonta' di agire, il vacillare della convinzione iniziale che gli aveva fatto credere di poter vivere doppio per la vittoria del Socialismo, erano le insidie del benessere borghese, il non volerlo ammettere, il ricordo del grande Fiume e della brina sui campi arati dai vecchi trattori kolkoziani.
Nei primi anni il messaggio trimestrale (e a volte occasionale per ingannare le decifrazioni statistiche) che gli giungeva dalla radio: " il villaggio di Jelan nei dintorni da Kirov", bastava a dargli forza e a rinvigorire la decisione iniziale e il sacrificio. Egli aveva capito bene quando gli avevano detto: "Può darsi che tu muoia di vecchiaia prima di ricevere qualsiasi ordine, ma ciò è più importante e più eroico che morire in azione".
Qualche anno dopo era arrivato il "sostegno" promesso, si era fatto riconoscere con un accenno all'Albania, sapeva dov'era, cosa faceva, che era un pezzo di Patria, era un onda del suo Fiume così vicina, ma col tempo anche questa forza diminuiva. Non sapeva, sentendo in fondo a sé un inatteso senso di colpa per quanto gli stava accadendo, che tutto ciò, compreso quel senso di colpa, era stato, se non previsto, almeno ritenuto possibile e accettabile dai tecnici che l'avevano valutato.
Perché non gliel'avevano detto, non lo avevano messo in guardia? Non l'avevano fatto perché sarebbe stato il contrario di quello che doveva avvenire: egli doveva "essere" Orazio Dalto in tutto e per tutto, di diverso soltanto quella capsula di ideali che egli solo s'illudeva fosse inossidabile.
E poi ci furono Gorbacev, l'ottantanove, e la fine dell'URSS, e la fine del comunismo, e la fine della storia secondo Fukuyama, e non ci furono più i messaggi alla radio, e il "sostegno" evitò qualsiasi contatto, forse perchè era stanco e deluso. Ighnati si rassegnò, e cominciò a pensare che aveva sbagliato tutto, che non c'era più e forse non c'era mai stata alcuna speranza di vittoria per l'Urss e per il Socialismo, che lo avevano illuso, tradito, che ha ragione chi vince.
Non ne poteva piu' di vivere doppio, era stanco, triste, pensava che era meglio così, che questa era la normalità.
Si convinse pian piano di essere sempre stato soltanto Orazio Dalto, non ascoltò più la radio della patria: tutti avevano tradito, Gorbacev, Eltsin, Il Daghestano che aveva lavorato per l'Iran e per l'Islam (non poteva perdere, anche se lo avrebbe preferito, la propria capacita' di capire).
Eppure aveva sentito parlare del "progetto", aveva piena fiducia nei nuovi dirigenti del Comitato: Mihai'l Sergheevic, Eduard, Anatolj. Di tutti l'unico coerente era stato il Maresciallo Serghiej Miha'ilovich, un amico di suo padre, che si era sparato dopo il Golpe di Agosto.
Ma anche questi pensieri a un certo punto sparirono, tutto quello che egli era stato fino al giorno del suo arrivo a Cividale, quando era entrato in Italia dalla Jugoslavia, attraverso il passo di Tanamea, la fede che lo aveva sostenuto in tutti quegli anni, tutto quello che vi era stato di "falso" nella falsa vita di Orazio Dalto, svanì nell'amnesia.
Egli fu Dalto, fu convinto della superiorità dell'economia di mercato, di essere italiano, un buon insegnante di scuola media superiore, nulla di più. Si convinse di aver studiato il Russo all'Università.
La morte di Dalto fu cancellata.
Ma una sera, prima di addormentarsi, sentì alla radio le Campane di San Basilio e il ritmo di "Katiuscia", sentì il messaggio che gli ordinava di agire, quello che aveva atteso in tanti anni di inattività, e ricordò, comprese che non solo la sua storia, ma che tutto quello che era successo era stato previsto e predeterminato, anche la fine della Patria, purchè il Socialismo sopravvivesse, comprese che Gorbacev non era un traditore. Sognò il grande Fiume quella notte, e gli occhi chiari della sua compagna di banco a Volgograd, si alzò e vide la brina sui campi, senti ridere i gabbiani.
Ma la Patria era ormai solo la Patria, dentro di lui tutto quel tormento aveva stroncato ogni fede, non credeva più in quello su cui aveva giurato, non gli bastava che tutto fosse stato previsto, non gli interessava più di vincere, non credeva più a nulla: voleva tornare, voleva solo la quiete calda del fuoco sull'ansa del Fiume, e non poteva dire la verità, non poteva essere più né Dalto né Bogdanovich: il primo era morto molti anni prima, ora toccava all'altro.
Uscì di casa a piedi, verso il misero fiume che sgorgava poco più a nord.
I "tecnici" non avevano previsto che il capitano Bogdanovich, che sembrava aver resistito quando molti altri più stimati di lui avevano tradito, col suo diploma di "Desatnik", sommozzatore e paracadutista, potesse annegare in una roggia proprio poche ore prima dell'azione che aveva atteso per anni.



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